Le “soste” indicate da Berardino e Paolo erano diffuse, in buona parte della regione, fino a 50 anni fa. In alcuni casi cambiavano le “denominazioni” e le preparazioni gastronomiche predilette, in base al territorio di riferimento.
LU SDIJUNE
La giornata iniziava alle 4 con lo sdijune, una zuppetta d’orzo o in alternativa un vigoroso bicchiere di vino cotto, da accompagnare al pane raffermo, ai finocchietti (chumberzijune nel pescarese), conosciuti come “biscotti della tresca”, oppure alle classiche pizzelle morbide.
LA STOZZA
Dopo qualche ora, intorno alle 7 del mattino, c’era la stozza, uno spuntino all’insegna di pane e onde (pane e olio) o pizza scima, cacio, salumi come il salsicciotto frentano e la salsiccia a campanella, e poi l’immancabile vino. Solitamente la stozza si consumava in piedi, era un pasto veloce.
LA REMBRENNA
Tra le 9 e le 10 toccava alla “rembrenna”, una colazione contraddistinta da preparazioni “cucinate”, così spazio a “chiccocce” (zucchine) e patate, la cipollata (una frittata umida con tanta cipolla, pomodoro e uova), fagiolini e patate, fagioli “socere e nore”, uova al sugo, fresche insalate di pomodori, peperoni arrosto, pallotte cacio e uova, il tutto innaffiato da vino cotto o sorsi di acqua e limone.
IL PRANZO, LU MEZZE JÙRNE
Il culmine della giornata gastronomica era rappresentato dal pranzo, trasportato all’interno di grandi canestri dalle donne e consumato, sui “mantili” (le tovaglie), direttamente nei campi.
A spadroneggiare era la pasta, in particolare quella “secca” con le zite oppure con gli “gnocconi”, una sorta di mezzo pacchero. I condimenti prescelti erano il sugo di papera muta o quello con lo spezzato di “pollastro”: il pollo a pezzi era “soffocato”, soffritto in capienti tegami di terraccotta e, una volta cotto, veniva rimosso per fare spazio alla passata di pomodoro indispensabile per impreziosire il condimento della pasta.
E poi ancora il coniglio in umido con i peperoni, lo spezzatino, il pollo cotto nel forno a legna. A irrorare le gole arse, lu trùffìle (orcio), che grondante di vino cotto passava di mano in mano.
LA SVIVITELLA
Verso le 5 del pomeriggio era il momento della “svivitella”, una merenda con pizza di mais (grandénie), pizza “ricresciuta” (lievitata e cotta sotto al coppo), “pomodoro a insalata”, cetrioli, turtarelle, laccio (sedano), frittata di peperoni e uova, fagiolini lessati e conditi con pomodoro e menta, la giuncata, il cocomero fresco, senza farsi mancare ovviamente il dolce con taralli casalinghi o finocchietti imbevuti nel vino cotto.
LA CENA
Finalmente, all’imbrunire, ci si sedeva tutti insieme a tavola per cenare e discutere del raccolto e delle fatiche della giornata. A condire il tutto un pasto più “light” con sagnette e fagioli, frascarelli, pane cotto, lu ciabbotte: sostanziosi tegami di verdure e ortaggi.
La serata si concludeva con balli e canti, una grande festa collettiva accompagnata dalle note del du bott.
[Crediti | Foto di copertina di Caniloro, le altre foto sono di www.sangroaventinoturismo.it, Carmelita Cianci, Scuola del Gusto Abruzzo. Le foto "d'epoca" provengono dai portali vastospa.it e lifeinabruzzo.com]